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Disturbi del comportamento alimentare e social media

da | Feb 28, 2024 | Papers!

Lejla Coloman e Diana Pavel

 

Non è facile parlare di disturbi del comportamento alimentare: gli aspetti da tenere in considerazione sono tanti, tutti validi e delicati da maneggiare. Chi ne soffre, o ne ha sofferto, porta su di sé una cicatrice invisibile all’occhio esterno: troppo spesso infatti colleghiamo questi fenomeni a immagini suggerite da pubblicità, film e altri mezzi. Per esempio, viene naturale collegare l’anoressia nervosa a un corpo scavato e magro, anche se questa non è sempre la realtà. Viene anche spontaneo collegare questi disturbi a un’eccessiva attenzione al proprio aspetto, quando la radice è tutt’altra. La dimensione fisica è una delle varie sfaccettature che si possono prendere in considerazione e che spesso invece ricalca un ruolo predominante anche nella diagnosi medica di queste malattie. Sono sempre più i casi documentati di persone con DCA che non rientrano nei canoni di sottopeso ed estrema magrezza, ma che per troppo tempo non vengono ascoltate, capite o credute.

La verità è che molte ragazze, e ragazzi, che combattono contro queste afflizioni possono non mostrare esteriormente segni evidenti della loro battaglia. L’indizio non è sempre nella loro apparenza, ma nel comportamento – la loro relazione tumultuosa con il cibo, la tendenza a evitare i pasti e le elaborate strategie per farlo. Questi comportamenti col passare del tempo diventano dei veri e propri rituali, quasi come fossero dei mantra da recitare giorno dopo giorno.

È impossibile però individuare l’esatto fattore scatenante di un disturbo alimentare: non c’è un rapporto causa-effetto netto, ma un insieme di fattori personali, contestuali e culturali. In quest’ultima sfera è possibile individuare elementi sempre più presenti nella vita di tutti i giorni che creano trigger capaci di muovere emotivamente le persone, soprattutto le più giovani e ancora insicure. Parliamo di canoni estetici perpetuati e riproposti, messi in bella mostra come ideali da raggiungere, attraverso mezzi tradizionali come riviste, televisione, cinema, ma anche con media più nuovi e difficili da controllare come i social. Ed è proprio in questa giungla di informazioni e contenuti con cui entriamo a contatto quotidianamente, che possiamo trovare un fattore di influenza senza eguali. L’esposizione costante a fotografie e video di corpi perfetti, che sono poi il risultato di luci, posa e filtri, non fa altro che dare forza ai canoni estetici in voga. Si tratta di veri e propri trend che hanno come oggetto il corpo, spesso femminile, che deve adattarsi per essere considerato di valore.

 

Ma facciamo un passo indietro: cosa sono e quali sono i DCA?

Quando parliamo di disturbi alimentari, parliamo di una malattia che prende il controllo, relegando l’individuo a un ruolo passivo, e influenzando ogni aspetto della sua vita. Nel concreto, i DCA sono malattie psicosomatiche e, più esattamente, sono tra le principali cause di morte tra i giovani.

Ai più famosi disturbi alimentari quali anoressia, bulimia e binge eating disorder, se ne aggiungono anche di nuovi. L’ortoressia, che si maschera dietro l’attenzione per l’alimentazione sana. La diabulimia, tipica di persone affette da diabete di tipo I che evitano l’assunzione del farmaco per procurare una perdita di peso. La drunkoressia, che porta le persone affette a ridurre sempre più l’introito nutrizionale giornaliero per poi poter assumere alcolici.

Il 95,9% delle persone colpite da DCA sono donne, mentre negli uomini è più frequente la presenza di sovrappeso oppure di una maggiore focalizzazione sulle dimensioni della muscolatura. Questa prende il nome di vigoressia e consiste nella ricerca spasmodica di un corpo muscoloso e scultoreo. È importante ricordare che non rientra in questo gruppo l’obesità, in quanto non è considerata un disturbo mentale. Nell’ultimo decennio, l’età in cui si manifestano i primi sintomi si è abbassata notevolmente, arrivando a quota 8-10 anni

Vivere con un disturbo del comportamento alimentare significa camminare su una corda sottile tra il desiderio di vivere e la tentazione di cedere alle voci interiori. Più che l’individuo, sembra che sia la malattia stessa a prendere il controllo della vita, rendendo ogni decisione e ogni momento un duro confronto con essa. Non è per nulla facile convivere con un DCA, per non parlare del fatto che queste malattie rendono estremamente difficile mantenere le relazioni interpersonali, dato che molte delle nostre interazioni sociali, in particolare quelle che implicano la famiglia e le amicizie, ruotano proprio intorno ai pasti.

In questo contesto, fatto di ideali irraggiungibili, hanno preso vita due modi diametralmente opposti di parlare di DCA. Il primo, meno conosciuto, formato da community di supporto e scambio di consigli per affrontare la malattia. Il secondo, ben più noto e impattante, legato alla parte negativa dei social. Partiamo da qui.

La cattiva influenza dei social nei casi di DCA

Forse è scontato dirlo, ma i social media hanno amplificato notevolmente questi problemi, presentando idealizzazioni di corpi perfetti e di stili di vita inarrivabili. Cominciando da Tumblr, il social per eccellenza che anni fa era noto per promuovere la cultura pro-ana e pro-mia, e che per molte ragazze diventò una sorta di bibbia tascabile che glorificava l’ideale del corpo esile. Tumblr era la preghiera serale perfetta per incitare l’anoressia, la bulimia e, in alcuni casi, anche il self-harm. Scrollare il feed di Tumblr alla ricerca di immagini che fomentassero la rabbia verso il proprio corpo non ancora abbastanza magro per essere considerato bello era molto più comune di quanto possiate credere.

Oggi questo tipo di contenuti sono disponibili su tutti i social media: possiamo trovare interi profili dedicati al tema che, utilizzando hashtag creativi e abbreviazioni, riescono ad aggirare i filtri delle piattaforme. Ed è così che interi thread di X (ex Twitter) con modelle estremamente esili vengono usati come thinspo (thin inspiration), è così che Youtube propone playlist di body checking, è così che Instagram dà vita a profili che pubblicano diete ipocaloriche, routine di allenamento brucia-calorie e incitazioni al digiuno.

Nel corso degli anni, le varie piattaforme social si sono mosse per moderare certi contenuti, bannando specifiche parole e inserendo notifiche con contatti di supporto se determinati hashtag vengono ricercati. Ciononostante, rimane comunque vero quanto emerso da un’inchiesta del Wall Street Journal: Meta, l’azienda madre di Facebook e Instagram, è conscia del fatto che l’esposizione a questi contenuti può portare a problemi di ansia, depressione e disturbi alimentari, ma si trova in grande difficoltà nel trattare, moderare e rimuovere una mole di contenuti sempre maggiore. Questi social, particolarmente potenti nel modellare le opinioni e le autopercezioni, vengono spesso etichettati come colpevoli di alimentare il narcisismo e la distorsione dell’immagine corporea.

La complessità dei DCA

Non è sempre così: queste concezioni sono troppo riduttive per comprendere appieno la complessità dei DCA. Un esempio? L’anoressia non è legata solo a un BMI inferiore alla media, non è solo un numero eccessivamente piccolo sulla bilancia. Una persona può soffrire di anoressia pur essendo normopeso e apparire normale agli occhi altrui. E questo perché non è solo una questione riguardante i numeri – quei tanto odiati numeri che a volte ci rendono la vita tanto difficile. È una questione che riguarda tutt’altro e, in primo luogo, la nostra sfera emotiva. Ed è anche per questo che molte volte si parla di lotte invisibili e solitarie, perché capita che chi ne soffra sia molto abile a tenerlo per sé da non destare sospetto.

L’intervento dei social media in questa equazione ha complicato ulteriormente le cose, soprattutto con l’avvento degli influencer che mostrano ogni singolo giorno corpi privi di difetti e vite invidiabili. E questa costante esposizione a feed incantanti può alimentare sentimenti di inadeguatezza, portando a comportamenti dannosi per conformarsi a standard inarrivabili, e può scatenare una spirale inarrestabile di confronto e autocritica. Inoltre, la disponibilità di filtri e modifiche all’immagine porta anche a una realtà distorta, dove l’ideale diventa irraggiungibile. La pressione sociale di ottenere approvazione attraverso like e commenti positivi può ulteriormente alimentare comportamenti malsani.

Ma di fronte ai disturbi alimentari, noi cosa possiamo fare?

Innanzitutto, è essenziale promuovere una maggiore consapevolezza delle realtà alterate dei social media. Le istituzioni educative devono svolgere un ruolo chiave nell’insegnare alle ragazze e ai ragazzi la capacità di discernere tra la realtà e l’illusione online. Anche le piattaforme di social media possono partecipare attivamente, mettendo in atto misure preventive e fornendo risorse utili. Perché è importante riconoscere i molteplici vantaggi dei social, ma quando serve bisogna portare alla luce i pericoli nascosti che presentano. La consapevolezza e l’educazione sono le chiavi per proteggere le future generazioni e garantire che la tecnologia serva come strumento di elevazione, non di deterioramento.

La parte positiva dei social

Un esempio calzante di come utilizzare i social in maniera positiva per fare del bene arriva con l’avvento dei profili recovery: profili che documentano il lungo e tortuoso percorso di guarigione da un disturbo alimentare. Nascono come modo per condividere le difficoltà che si possono vivere in una fase delicata come quella di riabilitazione da questo tipo di disturbi. In Italia se ne contano oltre 5 mila e qui le ragazze e i ragazzi condividono le loro sfide contro i disturbi alimentari.

Una di loro, dopo una lotta personale con l’anoressia e un ricovero prolungato, ha trovato sostegno e comprensione online, dando vita a una community chiamata “La rinascita delle farfalle“.

Se digitiamo questo hashtag possiamo accorgerci di quanto siano simili le vite di chi convive con un DCA. Le stesse paure, gli stessi comportamenti, gli stessi pensieri e la stessa forza di spronarsi per andare avanti e stare finalmente bene.

Questa community online ha poi organizzato incontri in diverse città per le ragazze in difficoltà. Il primo raduno a Firenze, poi Bologna e Roma: a caratterizzare le giornate sono il pranzo insieme e le attività motivazionali di gruppo.

A fare il punto su questa community è il documentario prodotto da Armosia e Rai Cinema “Hangry Butterfliesdi Maruska Albertazzi – regista e autrice – che presenta gli attuali risvolti in Italia. Questo raffigura un viaggio attraverso la fame e la rabbia, le protagoniste sono farfalle «hangry», un neologismo che unisce i termini inglesi «hungry» (affamato) e «angry» (arrabbiato).

Abbiamo avuto la fortuna di parlare con Maruska e farle qualche domanda sul suo lavoro. Quello che ha detto è: “L’idea mi è venuta quando già conoscevo la community. Non volevo fare il solito documentario sui disturbi alimentari che mostra la parte più cruda. Mi sono affidata alla società bresciana «Just Visual» per realizzare il documentario. Volevo una troupe giovane e Riccardo Lorenzon e Francesco Andreoli sono stati discreti e professionali con le ragazze. Volevo raccontare una storia di rinascita e speranza. Allora decisi di partecipare all’incontro di Firenze e riprenderlo, per poi andare a casa di 10 ragazze e farmi raccontare la loro storia. Volevo rappresentare i profili recovery. Far vedere come le ragazze preparano i piatti per poi fotografarli e postarli su Instagram. Sono nate delle belle amicizie tra queste ragazze che si sono conosciute sui social e questo dimostra che grande strumento di aiuto e consapevolezza possa essere, se usato correttamente.”

Oltre a questi, ci sono le tante realtà dedicate alla sensibilizzazione e alla comunicazione di questi disturbi: si tratta di profili di associazioni il cui scopo è mostrare le varie sfaccettature dei DCA, senza che chi ne soffra provi vergogna o timore nell’esporsi e nel parlarne.

Uno di questi è Animenta: un progetto che noi del team Nida’s abbiamo avuto il modo di conoscere all’edizione 2023 del WMF di Rimini. Animenta è un’associazione no-profit che si occupa di disturbi alimentari e racconta storie di chi ne soffre per sensibilizzare. Uno dei temi affrontati è quello dei social media e della duplice funzione che svolgono in questo contesto. L’obiettivo è quello di valorizzarli come luogo di interazione e di supporto, di creare unione tra chi necessita di aiuto e chi può offrirne, e di normalizzare la sofferenza provata come parte di un percorso.

Ovviamente la nascita e la diffusione di questi profili e di queste associazioni è un primo piccolo passo verso la trasformazione dei social in un ambiente di dialogo, dove canoni, trend e standard di aspetto fisico vengono sorpassati dalla dimensione umana e intima di raccontarsi e di raccontare la propria esperienza. La strada da fare è ancora tanta e tortuosa e i limiti sono molti, ma ogni piccola azione può fare la differenza.

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