Durante il WMF 2025 ho seguito lo speech di Elena Sabattini (CEO di Tecnostudi) dal titolo “Il codice della fiducia: il potere invisibile del Neuropositioning per connessioni indissolubili”. L’ho trovato interessante in quanto univa la neuroscienza, il branding e la strategia. Il tema centrale è la fiducia e cosa succede nel nostro cervello quando decidiamo di concederla (o meno) a un brand.
Il valore reale di un brand
Oggi il valore di un brand non si misura solo nei numeri o nelle performance. Si misura nella sua capacità di diventare la scelta automatica delle persone. Non basta più comunicare fiducia: bisogna incarnarla.
È proprio qui che entra in gioco il NeuroPositioning: un approccio scientifico che permette di costruire connessioni profonde, capaci di eliminare lo scetticismo e parlare direttamente all’emotività.
Perché la fiducia fa la differenza
Il nostro cervello è progettato per difenderci: interpreta segnali, valuta contesti, individua rischi. Scansiona in continuazione il contesto in cerca di possibili trappole.
Quando percepisce familiarità, sicurezza e coerenza, si rilassa. E in quello spazio emotivo prende forma la fiducia (quella vera), che genera fedeltà.
Un brand che riesce ad attivare questo meccanismo conquista un vantaggio competitivo enorme.
Come si costruisce la fiducia?
Istinto ed evoluzione
Alcuni segnali (come immagini di bambini o gattini) attivano automaticamente sensazioni di tranquillità. Sono percepiti come innocui e quindi affidabili, non attivano il senso di “conservazione” (come farebbe l’incontro con un coccodrillo).
Esperienza
La fiducia si costruisce nel tempo: mantenere una promessa, non deludere, essere coerenti. Ogni contatto con il brand contribuisce a rafforzare, o indebolire il legame. Se l’utente si sente tradito/deluso perderà automaticamente la fiducia.
Comunicazione autentica
Le persone si fidano di chi appare credibile, preparato, autentico. Non è solo questione di contenuto, ma di tono, presenza, e storytelling coerente.
Fidarsi significa entrare in una dinamica fatta di coerenza, riduzione dell’incertezza e reciprocità.
Succede tra le persone. Succede anche tra brand e clientela.
Il cervello decide prima di noi, alcuni esempi
Pepsi Challenge
Si tratta di una sfida lanciata dalla Pepsi negli anni ‘70. Il fine era dimostrare che poteva combattere per il mercato della Coca-Cola.
Ma in cosa consisteva? In una degustazione alla cieca di Pepsi e Coca-Cola, in modo che le persone non potessero essere influenzate dal packaging e logo della bevanda che stavano assaggiando.
Il risultato? Gli americani preferiscono la Pepsi. Se la stessa fosse stata fatta mostrando la brand avrebbe vinto sicuramente Coca-Cola. Perché? Il brand attiva aree cerebrali legate alla memoria affettiva e quindi la percezione del gusto cambia.
Spot Pepsi con Kendall Jenner
Lo spot mostrava Kendall che durante una protesta raggiungeva un poliziotto per offrirgli una Pepsi.
Il pubblico ha visto lo spot come ingannevole, perché è stato ritenuto fuori luogo sfruttare le proteste per scopi commerciali, soprattutto se il testimonial scelto è una ragazza bianca e privilegiata. Il tutto è quindi lontano dalla realtà.
Pepsi si è posizionata in un territorio sociale che non le apparteneva. Il pubblico l’ha percepito e ha reagito negativamente. Lo spot è stato quindi ritirato in 24 ore.
Marlboro e la Formula 1
Le auto della Formula 1 presentano diversi sponsor sulla propria carrozzeria, negli ultimi anni sono però stati introdotti dei divieti in base ai marchi, ad esempio quelli delle sigarette.
Marlboro ha risolto togliendo il logo (non più applicabile) e creando una grafica codice a barre che richiamasse (anche se non chiaramente) le sigarette e il proprio marchio. Strano ma vero, il target riconosceva il riferimento.
Come si approfondisce l’analisi e cosa possiamo misurare?
Attraverso strumenti come EEG (Elettroencefalogramma), GSR (Risposta galvanica della pelle) ed eye tracking è possibile esplorare i segnali della risposta non conscia: l’attenzione reale, l’emozione autentica, il coinvolgimento inconscio, il carico cognitivo e la coerenza tra dichiarazioni e comportamenti.
Ricorda che per prendere decisioni strategiche efficaci, è fondamentale integrare i dati provenienti dalla sfera inconscia ed emotiva.
TRUST: il codice di fiducia per i brand
T – Tridimensionalità
La fiducia si sviluppa su tre dimensioni fondamentali: ciò che si dice (livello verbale), ciò che si fa (comportamenti), e come ci si relaziona (interazione con gli altri).
R – Reciprocità
La mente si fida quando percepisce uno scambio giusto: trasparenza, ascolto alimentano la fiducia.
U – Uniformità
Essere coerenti nel tempo, nei messaggi, nei touchpoint e nei comportamenti è essenziale per evitare dissonanze cognitive e generare solidità percepita.
S – Sicurezza
Ridurre l’incertezza è il primo passo per rassicurare. Un brand affidabile semplifica le decisioni, calma l’ansia e cancella i dubbi.
T – Tracciabilità emotiva
Un brand capace di generare fiducia crea connessioni emotive che si possono misurare: grazie al neuromarketing possiamo rilevare attenzione, emozioni, coinvolgimento e coerenza implicita.
Nel mercato di oggi, affollato e iperconnesso, la differenza tra un brand qualsiasi e un brand memorabile si gioca tutta sulla fiducia.
Il NeuroPositioning ci ricorda che il branding efficace non parla solo alla mente, ma soprattutto al lato emotivo del cervello. Costruire fiducia richiede coerenza, autenticità, ascolto e consapevolezza.
Insomma, non basta dire di essere affidabili: bisogna dimostrarlo, esperienza dopo esperienza, segnale dopo segnale. Solo così un brand può entrare davvero nella mente (e nella vita) delle persone, diventando una scelta naturale e facile.
Perché, in fondo, la fiducia non si compra. Si conquista.